“È stato bellissimo toccare i semi! Mi è piaciuto rompere il “seme” di girasole e … scoprire che era l’achenio, e che il seme sta dentro!”
Alunno della Scuola Primaria Pascoli di Rubano
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Nello spunto di partenza riportato da un insegnante si parla di “achenio”. Vi aiuto … achenio è un particolare frutto secco che contiene un seme unico, il quale non viene liberato quando è maturo. Per questo spesso il frutto ha esso stesso l’aspetto del seme, e viene comunemente considerato tale. Come lo so? … Ho sottomano una delle Guide dell’Insegnante dei percorsi didattici de Le Buone Abitudini.
Se rileggiamo, l’alunno ha usato questo termine dopo un’azione diretta e manuale sul frutto. Considerate ora il modo con cui l’insegnante ha cercato di rendere il momento del racconto: punti esclamativi e pausa ci danno l’idea di una conoscenza raggiunta con piacere e con profondità; la parola per lui è ora un’esperienza.
ESPERIENZA DIRETTA vs DIMENSIONE VIRTUALE
Ci lamentiamo della dimensione visuale/virtuale in cui siamo immersi. Un bambino oggi è talmente invaso dalle conoscenze che non sa come e quali trattenere e depositare nella “libreria” personale: le informazioni sono accessibili, sono tantissime e tutte sullo stesso piano.
In questa immersione penalizziamo il corpo. Il corpo trattiene la dimensione umana, coordina il tempo e la riflessione, ti dice quando sei stanco e quando hai bisogno di cambiare il tipo di intelligenza da usare. Ti lega a quello che c’è attorno a te e alle persone che ti sono vicine.
Nel racconto dell’alunno ci sono le mani che rompono, il seme svelato, la presenza dei compagni, l’accompagnamento di un adulto educante. Queste azioni hanno determinato che l’esperienza entrasse all’interno del proprio sapere, in quella dimensione vitale della conoscenza, fatta di corpo, mente ed emozioni (le altre grandi assenti nel virtuale).
IL CONSIGLIO DEL PEDAGOGISTA
Facile allora individuare azioni virtuose a favore dell’esperienza diretta:
- Date in mano ai bambini i materiali del loro sapere, lasciateli protagonisti attivi che usano quello che hanno e crescono su di esso. Lasciateli lavorare con le loro ipotesi (il brainstorming è uno dei metodi possibili), create la giusta cornice in cui corpo e mani del bambino siano i primi strumenti della conoscenza. Poi aiutateli nel sintetizzare le conoscenze, nel vedere le strategie adottate, nell’ascoltare come ci si è sentiti, nell’auto-valutare l’esperienza.
- Lasciate che le esperienze generino nuove e diverse esperienze. In questo i bambini sono già predisposti perché non hanno ancora costruito le “scatole del sapere”. Il sapere bambino deve poter viaggiare e l’insegnante è il traghettatore. Una volta la chiamavamo “interdisciplinarietà”.
- Il ruolo dell’adulto educante è quello di preparare gli spazi e i tempi, e di proteggere le relazioni. Sorreggete la ricerca e accogliete gli errori come parte dell’esperienza. “Sbagliando s’inventa” diceva Rodari. Si impara così a gestire l’incertezza che porta alla scoperta e a sviluppare il mondo interiore.
- Fate usare le mani per costruire, aggiustare, abbellire, accarezzare, trasmettere emozioni, comunicare, … è l’unico modo per arginare il “touch”: sentire il piacere che danno le mani che sanno fare.
Adesso fate però uno sforzo, andate a vedere chi ha detto, e quando, “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”. No, non è la Montessori.