“Tu puoi stare meglio” – come incoraggiare lo scambio di conoscenza tra pari?

“Bellissima è stata la sensibilità di alcuni alunni della classe 4a B nel coinvolgere il compagno disabile in tutto il progetto. Commovente lo sforzo nel fargli capire l’importanza di mangiare bene.”

Insegnante della Scuola Primaria Paolo Lioy di Vicenza

Scarica il Report a.s. 2017-2018

Non lasciamoci distrarre dalla disabilità. Nello spunto di partenza, un bambino disabile dimostra chiaramente la sua difficoltà e questo segnale stimola i suoi compagni a prendere sicurezza nei propri desideri di aiutare gli altri e nel piacere di sentirsi capaci di fare qualcosa per gli amici. Non è, quindi, una situazione da leggere come bontà unidirezionale.

LA CONOSCENZA COME SPAZIO DI “GIOCO”

Come adulti spesso abbiamo già costruito il nostro schema mentale dove inserire le notizie e le conoscenze che apprendiamo. D’altra parte, un bambino tratta le conoscenze ancora come uno spazio di “gioco”: le mescola e le sistema alla ricerca di una “libreria” personale, che lo aiuti a sentirsi sicuro e in grado di usare questo materiale per lui nuovo.

È spontaneo, quindi, per lui trovare, a scuola o in casa, momenti in cui mettersi alla prova. Parlare di cose che conosce gli dà piacere, sente di essere competente e di poterlo dimostrare. Sente il sapere come una lunga collana di perle al quale se ne può sempre aggiungere una, e più se ne aggiungono, più la collana diventa preziosa. Fare lo stesso con un adulto, però, è più difficile. Il bambino sente che l’adulto è più “forte”, aggiunge altre notizie, si dimostra più abile nel saltare da una perla all’altra, è meno propenso all’ascolto. 

Un altro bambino è invece un interlocutore alla pari. Ascolta e interagisce senza richiedere perfezione. Prende quello che l’uno può dare e magari vi aggiunge del suo. Chi mostra il proprio sapere in questo modo si sente forte; si ascolta mentre parla, ne sente il piacere, e aumenta la propria autostima.

LA CONOSCENZA COME DONO

Nell’osservazione dell’insegnante si sente proprio la naturalità del processo, la vicinanza dei bambini, l’idea che la conoscenza fluisca in una situazione quotidiana e non imposta. È una conoscenza che ha anche la dimensione del dono, posseggo questo sapere e lo condivido, come si condivide il cibo e il tempo dello stare insieme a scuola. C’è anche il preoccuparsi per qualcuno, il volergli bene. Così, attraverso quello che ti racconto … tu puoi stare meglio.

IL CONSIGLIO DEL PEDAGOGISTA

Gli insegnanti conoscono questa pratica educativa come peer education: alcuni componenti di un gruppo vengono preparati per svolgere un ruolo di trasmettitore di conoscenze nei confronti di un singolo, o di un gruppo che possiamo definire “di pari”.

L’insegnante, quindi:

  • • può affidare ad alcuni bambini e bambine testi o esperienze da raccontare a piccoli gruppi per aiutarli a fare esperienza di comunicazione, di aiuto, di responsabilità;
  • • può modificare la situazione spaziale dell’aula per costruire isole di banchi, dove la comunicazione visiva sia circolare e il sapere venga “messo in tavola”;
  • • può organizzare e sostenere dibattiti in piccoli gruppi dove si prendano decisioni di vita quotidiana a scuola, e aiutare la messa in opera di queste decisioni (“come possiamo fare una merenda più salutare”; “come aiutiamo la pulizia della classe”; “come possiamo facilitare il momento della mensa o della ricreazione”).

In queste azioni si esalta anche la formazione di pratiche attive di cittadinanza. Si aiutano i bambini e le bambine a divenire cittadini democratici e responsabili delle proprie scelte.